La parola ai produttori

Emiliano Fini e la nuova lucente era dell’enologia Laziale

La viticoltura del Lazio è in crescita esponenziale come dimostrano i vini della nuova generazione di produttori

Ormai stereotipi e luoghi comuni sul vino del Lazio sono stati superati, almeno da tutti quelli che se li sono trovati davanti in degustazione. La presenza ad eventi e manifestazioni è oggi più marcata e davanti al livello raggiunto da questi vini l’interesse manifestato dal pubblico è sempre maggiore.

Del resto è quasi una consecuzione logica in quanto, ad un territorio di grande vocazione per i bianchi bastava aggiungere una generazione di vignaioli che guardasse alle cose enoiche con prospettive totalmente diverse. Non serve essere l’ultimo rampollo di una blasonata dinastia di viticoltori, ma per raggiungere ottimi risultati basta la passione, il giusto approccio e la capacità di interpretare l’ambiente pedoclimatico.

Lo dimostra Emiliano Fini  rappresentante di questa nuova leva di produttori ma anche affermato ingegnere civile, che ha trasformato la sua passione per il vigneto in un’espressione qualitativa di eccellenza. Tutto nasce nel 1988 quando Anacleto e Giorgia, acquistano l’azienda coinvolgendo i figli Emiliano e la sorella Claudia.

Siamo ad Aprilia tra le provincie di Roma e Latina nella Doc dei Colli Albani, un territorio vulcanico sistemato tra i rilievi montuosi da una parte ed il mare non troppo distante dall’altra. Inizialmente la famiglia continua a coltivare i 6 ettari di vigneto per conferire le uve ad altre Aziende.

Emiliano si appassiona sempre di più al mondo del vino in cui tra visite in cantina, degustazioni e wine tour conosce anche la futura moglie Michela che oggi lo sostiene nella sua doppia e impegnativa veste di ingegnere e vignaiolo. Nel tempo cresce anche la sua consapevolezza nelle potenzialità del suo territorio, che nel 2017 decide di rappresentare vinificando in proprio le sue uve di Malvasia Puntinata e Grechetto.

L’Azienda si compone di ulteriori 4 ettari e vecchie viti di Trebbiano Merlot e altri vitigni, ma Emiliano per ora vinifica i due autoctoni con il quale si ripropone di interpretare il territorio esprimendone in qualità i tratti di ricchezza delle caratteristiche pedoclimatiche.

Concetto guida che ispira la sua produzione a partire dalla conduzione in biologico del vigneto fino alla cura maniacale, da cui consegue l’alta qualità delle uve che arrivano in cantina. Cleto Igt è il Grechetto nome dedicato al padre Anacleto, che ha saputo dare dimensione ad una passione familiare partita dal nonno di Emiliano e trasformata in realtà.

Per la Malvasia Puntinata Igt invece è stato scelto il nome di Lavente, ispirato ai venti di Libeccio e Ponente che portano dal mare il loro contributo alla complessità del vino. Nel corso del tempo tra i banchi di degustazione abbiamo incontrato Emiliano, constatando la costanza dei livelli di eccellenza raggiunti di anno in anno e a lui abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda:

Un Ingegnere prestato al vino grazie all’innata passione da sempre presente in famiglia. Come è avvenuta la trasformazione in viticoltore e come ti dividi oggi tra le due attività?

Mio nonno produceva vino, mio padre ha sempre avuto la volontà di possedere un’azienda agricola,  che acquistò nel 1988. Abbiamo sempre venduto uve ad altre realtà, con risvolti economici spesso insufficienti a sostenere le spese di gestione, ma siamo andati avanti nonostante tutto; grazie a mia moglie Michela ci siamo avvicinati al mondo del vino da appassionati degustatori e da li il passo è stato breve…grazie ad amici sommelier abbiamo avuto la fortuna di incontrare le persone giuste con cui abbiamo iniziato questa avventura…

Continuo ancora l’attività di ingegnere perché mi piace e mi aiuta nel sostenere gli investimenti della cantina; non nascondo che è dura…entrambe sono lavori che riempirebbero le giornate a chiunque

Un terroir quello Laziale che non finisce mai di sorprendere per la ricchezza dei suoli e l’ambiente pedoclimatico come le piccole Aziende della zona stanno dimostrando. È stata una scommessa o hai sempre saputo che qui avresti potuto ottenere dei vini che guardano all’eccellenza?

Nel nostro girovagare per territori di vino, parlando con altri bravi produttori, abbiamo capito quella che secondo me è la vera ricchezza del territorio italiano: l’enorme varietà di vitigni autoctoni e di terroirs, ognuno con le sue caratteristiche da raccontare.

Sempre più ci siamo convinti che anche il nostro fosse un territorio valido per la produzione di vini di qualità, avendo tante delle caratteristiche che ci venivano raccontate altrove, per cui un po’ per sfida, un po’ per passione ed un po’ per senso responsabilità ci siamo sentiti anche noi custodi di un bellissimo territorio ed abbiamo deciso nel 2017, ad estate inoltrata, di cominciare quest’avventura. E devo dire che abbiamo fatto  bene visto che ormai a 6 anni dalla prima vendemmia i nostri vini del 2017 continuano a stupirci…

L’autoctono è la chiave per esprimere il territorio come dimostrano la tua Malvasia Puntinata e il Grechetto, che hai saputo esprimere a grandissimi livelli tra i migliori del Lazio. Quanto è stata preziosa la mano dell’enologo Letizia Rocchi che nel territorio Laziale ha già ottenuto grandi risultati con il Cesanese?

L’autoctono per me è un aspetto fondamentale: in azienda ho anche dei vitigni internazionali che non ho intenzione di vinificare; come per molti altri aspetti se prendessimo consapevolezza di quanto l’Italia sia unica non avremmo bisogno di prodotti diversi dai nostri.

L’aiuto di Letizia è fondamentale, non solo a livello di competenze, ma anche di visione del mondo del vino: ho scelto lei in quanto rappresenta un modo virtuoso di produrre vino, che si basa sul semplice concetto di far emergere nel bicchiere quello che si produce in vigna senza sofisticazioni, che sembra cosa semplice ma non lo è affatto. E che rappresenta il modo di fare vino che da appassionato mi aspetto di trovare quando visito una cantina.

Due etichette che hanno sorpreso tutti già dal loro esordio in tutti gli eventi a cui avete partecipato. Un risultato che spinge ad intraprendere nuovi progetti enologici?

Devo dire che il primo ad essere stato sorpreso sono io… parlare con gli appassionati mi da una grande motivazione; anche l’apprezzamento di altri colleghi mi lusinga e motiva molto, pertanto ci sono dei progetti per una terza etichetta con delle vigne di cinquant’anni, un’altra sfida…

Attualmente i vini sono prodotti in regime biologico. La tua produzione di qualche migliaio di bottiglie ne assicura l’adesione al protocollo ma per aziende dalle produzioni industriali quanto il “biologico” può essere realmente tale è quanto secondo te è utilizzato come leva di marketing?

Essere un piccolo produttore aiuta nel lavorare in un certo modo, che ha bisogno di tanta attenzione che è più difficile garantire quanto i numeri sono molto grandi; controllare ogni appezzamento anche non di proprietà non è cosa semplice.

Quello che veramente conta è la serietà del produttore nel rispettare un regime biologico vero, cosa non da poco soprattutto in annate difficilissime tipo la 2023: ha piovuto per un mese e mezzo con pochi spiragli di bel tempo, noi abbiamo limitato le perdite trattando nei pochi momenti giusti, aiutati anche da una piovosità media minore di altre zone, dove è stata veramente un’annata catastrofica…

La tua produzione può considerarsi del mondo dei vini naturali. Cosa ne pensi di tutto il dibattito generato da questi vini? credi che si sia intrapresa decisamente la via della qualità o il fanatismo continuerà a giustificare ancora produzioni estreme e di dubbio valore?

Per me fare un vino naturale è un punto di arrivo, la giusta conclusione di un certo tipo di lavoro; il vino deve essere di valore e senza difetti, altrimenti si perde un po’ il senso del vino naturale inteso come vino meno dannoso per il nostro organismo, e soprattutto il piacere di berlo…

La rinascita del Frascati Docg, i vini della Tuscia, le diverse zone del Cesanese è piccole realtà nate anche in luoghi non tradizionalmente vocati, dimostrano in maniera inconfutabile l’ascesa qualitativa dei vini del Lazio e della ricchezza dei suoli, anche se la strada da fare è ancora molta. In questo senso quale sono le azioni più efficaci per promuovere i vini e per sviluppare il potenziale del territorio da parte di produttori e istituzioni?

L’azione più efficace, sembra scontato dirlo ma non lo è, è continuare a lavorare bene per produrre vini di qualità e tenere duro perché per i vini laziali oggi la strada è ancora in salita, ad eccezione di pochi produttori. Solo così cambierà l’idea che nel Lazio non si producono buoni vini

Per fare massa a livello internazionale ha più senso per ora promuovere il territorio Laziale e le sue peculiarità nella sua interezza e poi in un secondo momento puntare sui singoli territori oppure conviene farlo sin da subito?

Questo aspetto è il rovescio della medaglia: la varietà del territorio del Lazio (come di tanti altri territori italiani) fa si che non ci sia una zona  grande con tanti produttori che ha la forza in termini di risonanza di altre zone più conosciute, pertanto credo che sarebbe bene promuovere il vino del Lazio mantenendo ed evidenziando però le diversità dei vitigni e dei territori come valore aggiunto.

Da appassionato di vino a parte quelli del tuo territorio quale sono i vini che bevi più volentieri?

Il mio primo wine tour è stato nelle migliori aziende delle Langhe ed i vini da nebbiolo sono sicuramente tra quelli che più mi piacciono; poi ci sono i fiani irpini, i verdicchi di Matelica, i rossi toscani, i siciliani dell’Etna…la lista è lunga!

Se non facessi il viticoltore nel Lazio per assurdo in quale territorio nazionale o internazionale ti piacerebbe farlo e con quale vitigni?

Nebbiolo in Alto Piemonte, vini fantastici…

Da parte delle istituzioni quale potrebbe essere il provvedimento più importante per aiutar il lavoro dei viticoltori?

Capitolo delicato … per prima cosa ascoltare i produttori e le loro esperienze, prendere coscienza  della ricchezza del nostro territorio e trattarla in una maniera non politica, ma pratica e allo stesso tempo virtuosa e soprattutto ascoltare le nuove realtà che hanno cambiato passo rispetto al passato

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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