Stile e Società

Il cacao in via d estinzione

I lavoratori delle piantagioni recavano il vischio del cacao molle attaccato alla pianta dei piedi, come una spessa scorza che nessun’acqua al mondo avrebbe mai potuto lavare. Ma tutti, lavoratori, jacunos, colonnelli, avvocati, medici, commercianti ed esploratori, avevano il vischio del cacao attaccato all’anima, nel profondo del cuore… Jorge Amado  

Se alla fine degli anni ’80 Renzo Arbore ci deliziava col tormentone “Cacao Meravigliao”, ora le cose stanno cambiando, il cioccolato sta finendo in un mercato che nel 2030 supererà la domanda rispetto all’effettivo consumo . È di questo mese infatti la notizia rilasciata dal Washington Post, passata per la bocca di due tra le più grandi produttrici di cioccolato al mondo, la statunitense Mars e la casa svizzera Barry Callebaut.
Sembra impossibile che la coltivazione di cacao, diffusa da almeno tre secoli in tre continenti(Asia, America e Africa), sia destinata al declino eppure è così. Le motivazioni di questo increscioso deficit sono ampiamente variegate e vede nel consumatore finale solo uno dei tanti problemi che attorniano la coltivazione e la manipolazione di questa meravigliosa pianta esotica.

Il problema è sociale, infatti i due più grandi coltivatori mondiali Ghana e Costa d’Avorio sono stati recentemente colpiti dall’epidemia del virus ebola togliendo utili braccia lavoro a delle politiche agricole locali già dissestate, in più come se non bastasse, una malattia fungina locale, la Moniliophthora, secondo l’Organizzazione mondiale del cioccolato ha distrutto alla radice il 30-40% delle varietà africane di cacao.
Il problema è pure produttivo, il mercato orientale acquista sempre più cioccolato fondente, quello che più di altri richiede semi puri per il confezionamento. Questo ha via via prodotto una lievitazione dei prezzi del 60% negli ultimi due anni. La situazione è nera più del cacao stesso, e occorrono soluzioni incisive.
Infatti come agronomo in maniera del tutto sadica gioisco nel vedere questo: sono un accanito difensore delle biodiversità e delle sostenibilità rurali, e chiunque nel corso delle storia ha modificato in nome del mostro artificiale della monocoltura ora sta pagando il giusto prezzo di chi ha confuso il capitale con la natura, di coloro che per un progresso solo personale e non collettivo hanno sempre cercato una manodopera pressoché schiavista e si sono prepotentemente affermati nelle deboli economie del terzo mondo nella maniera più imperialista possibile.
Ci trasportiamo quindi le amare eredità del colonialismo.

Ma ora vengono in nostro aiuto gli scienziati dell’agricoltura dio li benedica, quelli che hanno buttato la troppo faticosa zappa in favore della provetta: vogliono infatti creare piante in grado di produrre più semi per sopperire al problema della produzione già in deficit verticale. Niente di più sbagliato, quante volte infatti paghiamo il fio per aver giocato ad essere Dio?
E io da consumatore intelligente preferisco una vita senza cioccolato che una in cui sì c’è ma proviene da intrugli geneticamente modificati.
A sostegno della mia tesi riporto la dichiarazione di Mark Schatzker, non un bioterrorista vegano figlio dei fiori baciabalene, ma una delle più autorevoli voci di Bloomberg che sostiene:
“Sono in corso tentativi per produrre cioccolato economico e abbondante – ma nel processo sarà reso involontariamente insapore come i pomodori comprati al mercato, o altri cibi come il pollo e le fragole che da gustosi sono diventati dimenticabili lungo la strada per l’abbondanza”.
Dall’altra parte ahimè vedo un produttore che si arrende e invece di far sentire la sua voce preferisce tacitamente ripiegare in coltivazioni “più facili” come quella del mais.
E se Forrest Gump dichiarava che nelle scatole di cioccolatini, come nella vita, non sai mai cosa ti capita dentro, io, caro Forrest, so cosa vorrei trovarci dentro: gusto vero, trasparente, etico e sostenibile.
G. Camedda


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Redazione

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