Tribuna

«Buon appetito» si dice o non si dice?

Nei manuali di galateo “classici” non è contemplato, è proprio ignorato, nel senso di ‘non preso in considerazione’, come non rientrasse minimamente nella prassi. Invece, nella miriade di manualetti odierni, vista la larga diffusione di tale frase iniziale, viene caldamente sconsigliato!

La questione oggi si pone come serio problema di etichetta.

“È augurio da non pronunciare” affermano categoricamente alcuni contemporanei, bollando l’enunciatore come maleducato, cosicché se l’espressione ci scappa ci sentiamo cafoni, retrivi, inadeguati, ignoranti in fatto di buone maniere.
 
Effettivamente, dobbiamo accettare che non si dice, come accettiamo che non si esclama “cin cin” nel brindisi e non si tintinnano i calici o non si augura “Salute!” quando uno sternutisce, ma tali ‘divieti’ io li collego alle situazioni formali, dove vige la regola della compostezza e del freddo distacco dalle emozioni.
 
A questo punto è giusto fare un po’ di luce sul significato dell’espressione, benché sulla precisa origine non ci siano certezze storiche.
Alcuni ritengono che l’augurio risalga alle ritrovate “buone maniere” nella società di corte medievale, ma io ritengo piuttosto sia originato intorno il XVI-XVII sec., quando in Europa migliorarono notevolmente le condizioni economiche ed alimentari delle popolazioni, dopo secoli di carestie, anche grazie alle varietà di prodotti importati dalle Americhe, per cui l’augurio aveva il significato di un buon auspicio a soddisfare finalmente l’appetito e saziare lo stomaco.
 
Nei momenti di festa quali nozze, ricorrenza religiosa oppure particolari celebrazioni, il nobile o il ricco possidente offriva alla servitù o al contado dei lauti banchetti. È lecito pensare che in tali circostanze egli augurasse ai partecipanti di ben godere del pasto offerto, cosicché l’espressione è rimasta legata al concetto di un favore elargito agli inferiori.
Esclamare «Buon appetito!» tra pari suona, quindi, come un offesa.

La famiglia borghese ha ripreso l’augurio, legato alla presenza del cibo in tavola, non sempre  scontata, e lo ha tramandato fino ad oggi, e a molte persone non pare bello iniziare a mangiare senza scambiare quell’auspicio, abitudine che oggi viene snobbata.
Il pasto nella nostra società consumistica non è più considerato un evento eccezionale, un’occasione per sfamarsi, pertanto in presenza di ospiti non è ritenuto pertinente augurarsi a vicenda di soddisfare l’appetito.

In ogni caso, paese che vai usanza che trovi!
Se in un ristorante il cameriere pronuncia l’augurio, per buona educazione gli si risponde con un «grazie».
Tra commensali è molto più maleducato far notare che non si dice o ignorarlo del tutto, piuttosto che accettare l’augurio e rispondere con un sommesso «Anche a lei!», unito ad un bel sorriso in direzione di chi ha pronunciato la frase, un atto di cortesia che non costa nulla e a volte diventa il primo approccio alla conversazione tra persone che non si conoscono.

donna Maura


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