Tribuna

Anguria e cocomero o melone e popone a tavola?

Piuttosto che parlare di carne, con questo caldo è meglio pensare ai frutti che più si associano all’idea del dissetarsi, con la dolce polpa ricca di acqua (90%), vitamine specie A e C, zuccheri naturali, sali minerali, diuretica quanto basta per la reidratazione, però ci accorgiamo che ove andiamo in giro per l’Italia non capiamo se mangiamo anguria o cocomero, melone o popone.

È vero, i nomi sono varianti regionali, ma quello che molti non sanno è che i termini cocomero, dal latino «cocumis-cocumeris», e anguria, dal tardo greco «angurion», significano “cetriolo” e lo stesso cetriolo in Grecia veniva chiamato cocomero, come tale citato da Virgilio.
È risaputo che nelle regioni del centro-sud è conosciuto il cocomero e nel nord l’anguria, dove – a complicar le cose – il termine cocomero o meglio “cocumer(o)” è riservato al cetriolo, “cucumis sativus” (anche in francese cetriolo si dice «concombre»).
Ma la confusione non finisce qui: nel meridione il cocomero è anche chiamato “melone” o meglio melone d’acqua (in inglese «Watermelon»), mentre al nord “melone” è il melone (in inglese «Melon» o «Muskmelon»), ossia il “Cucumis melo”, alias il toscano “popone” alias meridionale “baciro” se non anche “melone da pane”.

Inoltre tutti questi non sarebbero propriamente dei frutti, perché in botanica sono considerati ortaggi, della famiglia delle Cucurbitacee, piante a fusto strisciante, stretti parenti del cetriolo e anche della zucca e delle zucchine.

Al di là di tutte le nomenclature che fanno girar la testa, come si mangiano anguria-cocomero-melone?
Normalmente viene servita sul piatto una fetta con la scorza e sono necessari forchetta e coltello, posate da dessert, con i quali si ricavano frazioni di polpa da portare alla bocca uno alla volta.

Di regola, le fette servite dell’anguria dovrebbero essere già sufficientemente liberate dai semi, quelli rimasti vanno tolti con la punta del coltello ma senza fare prima scempio della polpa. Se ce li trovassimo in bocca, in linea di massima dovremmo seguire la regola che impone che qualunque cosa portata alla bocca con la forchetta e non deglutibile si deposita sulla forchetta stessa e poi da questa nel piatto, ma io ho visto qualcuno avvicinare addirittura il coltello alle labbra e trasferirvi i semi. Forse perché sarebbero sfuggiti tra i rebbi della forchetta? Tuttavia pare lecito raccoglierli nell’incavo del pugno (come i semi dell’uva), senza emettere certi suoni tipici del soffio, per poi depositarli nel piatto con movimento semplice e naturale.
Le fette del melone, invece, devono essere servite già ripulite dai semi e quasi interamente già staccate dalla scorza, e assaporate anch’esse con coltello e forchetta.

Non è prudente cimentarsi a tagliare la scorza per accorciare la fetta, ne va dell’equilibrio del resto e poi non ha senso.
Non è salutare raschiare la polpa residua aderente alla scorza perché lo strato bianco non è digeribile.
Alla fine, le posate vanno lasciate allineate a destra delle scorze.

donna Maura
m.sacher@egnews.it


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