Che è ‘sta roba, si mangia o si beve? È il detto, declinato nelle traduzioni idiomatiche locali, quando riguardo ad una cosa non si sa di che si tratta, ed è ben pertinente la domanda in questo caso, perché la risposta è: si mangia e si beve.
«Alogastronomia» è, in effetti, un neologismo, termine appositamente coniato per l’Associazione Apecchio Città della Birra e di cui la professoressa Francesca Mazzanti, appassionata di storia e cultura classica e medievale, soprattutto locale, con spiccato interesse per la ricerca di cibi sani e genuini, forte delle radici marchigiane, spiega il significato, come si può approfondire al link http://apecchiocittadellabirra.com/identita/alogastronomia/, da dove sono tratte le immagini, qui utilizzate.
Dunque, si tratta dell’abbinamento Birra-Cibo, nulla di strano se si pensa a come viene spontaneo accompagnare la pizza con la birra (che a ben riflettere è più un’unione tra due tradizioni che tra gusti, e persino secondo alcuni un attentato alla digestione, dato che si ingurgitano due pietanze a base di lieviti che nello stomaco continuano il processo fermentativo).
Il neologismo è stato coniato recuperando l’antico termine anglosassone “ale” di probabile derivazione linguistica da una radice indoeuropea *alu- e che designa un tipo di birra chiara ad elevata gradazione alcolica.
Ma la parola, nel suo insieme, secondo la prof.Mazzanti può essere suddivisa in tre parti: alo-gastro-nomia. Della prima si è detto; nelle restanti, entrambe di derivazione greca, si ravvisano collegamenti col termine “gaster”, stomaco e “nomia”, regolazione, insieme di regole.
L’alogastronomia verrebbe così ad assumere il suo primo significato di “arte che comprende l’insieme delle regole che determinano la produzione e l’assunzione, da parte dell’individuo, della birra”.
In questo concetto è racchiusa, in verità, tutta la rete più complessa della filiera, che va dalla produzione della bevanda alla fruizione della stessa, comprendendo una profonda conoscenza delle materie prime, delle tecniche, delle strumentazioni per una realizzazione finale che risulti di qualità, e non da ultimo le competenze afferenti alla sfera dei sensi, per trovare combinazioni che permettano di abbinare a tavola un ottimo bicchiere di birra ad un cibo gustoso.
Questo è il Progetto di Apecchio, un piccolo borgo al confine fra Umbria e Marche a cui appartiene, provincia di Pesaro-Urbno, situato nel cuore dell’Appennino Centrale, a 493 metri sul livello del mare, circondato da ampi prati e da larghe estensioni boschive e dominato dal Monte Nerone, dal quale sgorgano acque purissime. Progetto “Apecchio Città della Birra”, che l’Associazione culturale, con presenti al suo interno anche amministrazioni locali e privati, da alcuni anni sta concretizzando, sia attraverso eventi culturali, come la promozione di Festival, e percorsi didattici dedicati alla birra, sia facendo conoscere i suoi prodotti, proponendo un turismo di nicchia, dal momento che, negli ultimi anni vi si sono insediati alcuni birrifici artigianali di alto livello, che hanno fatto della cittadina marchigiana un’autentica capitale della birra italiana di qualità, che prende il nome dall’antica denominazione dialettale del Comune ossia “APEC”.
Maura Sacher
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