Molte persone sono convinte che il modo di vestire non debba incidere sull’immagine di sé da offrire agli altri e che curare l’abbigliamento adattandolo alle occasioni sia una sovrastruttura mentale arcaica, la sopravvivenza di una mentalità borghese, retaggio di epoche ormai finite, concluse, morte e sepolte.
Beh, costoro prima o poi saranno costrette a cozzare contro la dura realtà, e si renderanno conto che molti veterani della rivoluzione sessantottina ora sono ultrasessantenni manager in giacca e cravatta e camicia stiratissima, professioniste sempre fresche di parrucchiere, manicure e massaggi tonificanti. Dunque la “apparenza” conta, eccome! Provino i giovani odierni andare a un colloquio di lavoro in jeans sdruciti e top slambricciati e vediamo se vengono assunti. Persino i piercing e i tatuaggi evidenti sono elementi discriminanti, ed è inutile protestare!
Più sono elevate le responsabilità più deve essere curato l’aspetto, perché si deve dare un’immagine di affidabilità e di serietà. Intramontabile criterio.
Ebbene, le colazioni di lavoro hanno molteplici funzioni, servono ad accaparrare clienti e fornitori, mettere le basi per stipule di contratti, festeggiare un importante business aziendale, possono servire a probabili soci per conoscersi meglio prima di stringere accordi. Non è nell’interesse di entrambe le parti presentarsi al meglio nel look oltre che nelle idee da mettere sul piatto dello scambio?
«L’abito non fa il monaco» è uno slogan utilizzato da chi rifiuta che l’apparenza coincida con la sostanza e pensa che il messaggio da trasmettere sia talmente importante che l’interlocutore lo recepisca al di là del modo di porgerglielo.
Tuttavia si deve capire che l’aspetto di una persona, ossia il modo in cui si presenta, costituisce un elemento del linguaggio non verbale (“abbiamo una sola occasione per dare la prima impressione”) e dice molte cose di noi, sulla nostra educazione, sul nostro modo di pensare. E come ben si sa il linguaggio non verbale, cioè tutto ciò che ha a che fare con immagine, portamento e comportamento, ha un impatto emozionale molto più elevato del contenuto delle parole.
Non si tratta di vestirsi adeguatamente al contesto semplicemente per etichetta o formalità, quanto piuttosto di utilizzare l’abbigliamento quali strumenti al nostro servizio e alla nostra causa!
Vestirsi “a tono” per una colazione di lavoro, pranzo o cena che sia, significa semplicemente presentarsi non nell’abito più comodo per la giornata di lavoro, bensì in quello che corrisponda al proprio ruolo e sottintenda rispetto per coloro che saranno i commensali, anche tenendo conto del posto in cui si svolgerà la conviviale.
Alle signore consiglio di non esagerare nello sfoggio né di gioielli veri o di bigiotteria, né di pomposità e scollature, di poco buon gusto in queste occasioni.
Purtroppo anche l’abbigliamento più curato sarà ridicola apparenza se in questi incontri davanti ad una tavola si mostrerà l’ignoranza delle regole fondamentali del Galateo.
donna Maura
m.sacher@egnews.it
Grazie per aver letto questo articolo...
Da 15 anni offriamo una informazione libera a difesa della filiera agricola e dei piccoli produttori e non ha mai avuto fondi pubblici. La pandemia Coronavirus coinvolge anche noi. Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati, in questo periodo, è semplicemente ridotta e non più in grado di sostenere le spese.
Per questo chiediamo ai lettori, speriamo, ci apprezzino, di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di lettori, può diventare Importante.
Puoi dare il tuo contributo con PayPal che trovi qui a fianco. Oppure puoi fare anche un bonifico a questo Iban IT 94E0301503200000006351299 intestato a Francesco Turri