
Lunga vita ai vitigni resistenti

Sono ormai diventati una realtà che si sta consolidando soprattutto in Veneto e in Trentino Alto Adige. Pionieri Werner Morandell (Tenuta Lieselehof, Caldaro) e Nicola Biasi (Il Vin de la Neu, Coredo). Il ruolo della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige.
Abbiamo parlato più volte nei nostri servizi giornalistici di vitigni resistenti, i famosi PIWI, abbreviazione che deriva dalla parola tedesca “Pilzwiderstandsfähig”, ovvero vitigni che resistono alle malattie fungine. Noti anche come “superbio”, sono quei vitigni ibridi creati da incroci di varietà di viti europee con varietà di viti americane o asiatiche. La finalità: creare una vite che possegga un’elevata resistenza alle malattie crittogamiche. Questa scelta consente di produrre dei vini anche di pregio limitando al massimo l’utilizzo di prodotti chimici e fitosanitari nel vigneto.
Il pianeta PIWI e il ruolo dell’Associazione presieduta dal prof. Marco Stefanini

Insomma i PIWI da “curiosità enologica” sono ormai diventati una realtà di mercato che si sta consolidando sempre più sia tra i consumatori sia tra i produttori con interessanti prospettive per il futuro. Se ne stanno occupando università e centri di ricerca tra cui la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige con il prof. Marco Stefanini, responsabile dell’Unità genetica e miglioramento della vite del Centro Ricerca e Innovazione della FEM. Stefanini è anche presidente dell’Associazione PIWI Italia.
In Trentino Alto Adige tra i pionieri dei vitigni resistenti meritano non solo una citazione, ma anche un encomio Werner Morandell, titolare dell’azienda Lieselehof di Caldaro, autore tra l’altro di un bellissimo volume sui vitigni resistenti, e Nicola Biasi che in Alta Val di Non che ha fondato una rete di aziende vitivinicole che hanno abbracciato la filosofia Piwi.
Quanto mai interessante, sempre in tema di “vitigni resistenti”, è la ricerca Imvibior condotta da “Dimensione Agricoltura” in collaborazione con il Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (Tesaf) dell’Università degli Studi di Padova, con Agridinamica, con l’azienda vitivinicola Ca’ da Roman e con l’Associazione Piwi del Veneto.
Vitigni resistenti: al 1° posto il Veneto, al 2° l’Alto Adige, al 3° il Trentino
La ricerca ha puntato i riflettori sui vini da vitigni resistenti del Veneto, regione leader in Italia nella produzione di vino e dell’export.
Un primato che abbraccia anche la produzione dei vini Piwi: è il Veneto, infatti, a guidare la classifica con 630 ettari coltivati a vitigni resistenti, 94 produttori e 173 etichette in commercio, pari al 38% del totale nazionale.

Seguono l’Alto Adige (53 produttori e 119 vini in commercio), il Trentino (37 produttori e 61 vini), la Lombardia (34 produttori e 49 vini) e il Friuli Venezia Giulia (21 produttori e 41 vini).
Lo studio, condotto su 25 aziende agricole, ha confermato la soddisfazione dei produttori Piwi per il percorso intrapreso. Il 96% ha dichiarato che coltiverebbe nuovamente vitigni resistenti, mentre il 76% intende aumentarne il numero.
I vantaggi ambientali ed economici sono, infatti, significativi: i vitigni resistenti richiedono in media 4 trattamenti annui, contro i 15/20 necessari per le varietà tradizionali. Nonostante ciò, il 48% dei produttori ha dichiarato di incontrare difficoltà nella commercializzazione del prodotto finale.
I produttori Piwi, infatti, si concentrano maggiormente sulla vendita diretta (96%) e nel canale HoReCa (91%) e si affidano in misura limitata agli intermediari o alla Grande Distribuzione, con percentuali molto basse. Occoreranno nuove strategie per il decollo dei vini Piwi a livello commerciale e una comunicazione ad hoc potrebbe avere effetti positivi.
La sensibilità per le tematiche legate alla sostenibilità ambientale e sociale

Altre curiosità. Il 92% dei produttori intervistati ritiene che comunicare in modo efficace i benefici del prodotto sia essenziale per il suo successo commerciale. I trend di mercato mostrano una sempre maggiore sensibilità alle tematiche legate alla sostenibilità ambientale e sociale.

Tuttavia, la ricerca ha evidenziato che solo il 20% dei consumatori intervistati conosce i vini Piwi. Analizzando le motivazioni di acquisto, risulta che il 35% dei consumatori si affida principalmente al consiglio del venditore di fiducia, seguito dal gradimento dopo averli assaggiati (35%) e dal minor impatto ambientale (34%).
Daniel Vecchiato, professore del Dipartimento Tesaf dell’Università degli Studi di Padova, spiega che i dati raccolti confermano che i vini prodotti da vitigni resistenti Piwi sono ancora un prodotto di nicchia e che per incentivare l’acquisto, è possibile renderli facilmente riconoscibili attraverso il logo “Piwi International” e facendo in modo che le loro caratteristiche in termini di sostenibilità vengano veicolate al consumatore con un segnale noto quale la certificazione biologica.
Anche l’Indicazione Geografica Tipica e la dicitura “vino prodotto da vitigni resistenti” possono contribuire a incentivare l’acquisto. Le aziende intervistate hanno evidenziato la necessità di una strategia comune: il 40% chiede azioni congiunte tra produttori, il 16% una maggiore promozione della vendita online e il 12% modifiche normative per includere i vitigni Piwi nelle Dop.
Werner Morandell (Lieselehof, Caldaro) pioniere della viticoltura sostenibile

In apertura parlavamo di due pionieri dei vitigni resistenti e della viticoltura sostenibile: Werner Morandell, titolare dell’azienda Lieselehof di Caldaro e Nicola Biasi che in Alta Val di Non è diventato famoso anche a livello internazionale con il suo premiatissimo “Vin de la Neu” da uve Johanniter. Poche bottiglie, rare e preziose.
L’altoatesino Werner Morandell ha fondato la cantina Lieselehof nel 1993: parola d’ordine la sostenibilità. Dopo una lunga ricerca dei siti e delle condizioni migliori, ha scoperto il sito ideale, per condizioni geografiche e climatiche, ai piedi del Passo della Mendola, a Kardatsch, e qui ha deciso di costruire la cantina realizzando il sogno di una vita.
A distanza di trent’anni, dopo non pochi sacrifici e sfide, oggi è la seconda generazione, con i due figli gemelli Julian e Maximilian, che prosegue con entusiasmo l’attività.
Il maso Lieselehof, gestito da Werner Morandell assieme alla moglie Claire, ha bandito totalmente l’uso della chimica nei 4 ettari di proprietà e, partendo da vitigni resistenti, produce vini biologici, naturali, vini di carattere che esprimono la qualità della vita di montagna e l’identità del luogo.
Quei vigneti in alta quota, al Passso della Mendola (1.250 metri)

Dalle pendici soleggiate del Lago di Caldaro, a poco più di 200 metri, i vigneti si estendono fino a St. Anton, a 500 metri. È qui che crescono la maggior parte dei grandi vini bianchi e Pinot Nero della Lieselehof.
In quota, in alta quota, per la precisione ad un’altitudine di 1.250 metri sul livello del mare, sullo storico Passo della Mendola, maturano invece le uve Solaris, resistenti al freddo, in un luogo unico in Europa, circondato da boschi di conifere e rocce.
Già negli anni ’90, Werner Morandell si informò sui metodi sostenibili in vigna e abbracciò in tutti i suoi vigneti la filosofia del biologico.
A cavallo del nuovo millennio, la grande svolta quando furono messe a dimora per la prima volta varietà di uve ibride resistenti, che hanno una resistenza naturale alle malattie fungine e quindi non necessitano di alcun trattamento chimico con pesticidi. Questo significò che si potevano produrre vini di grande qualità, senza trattamenti fitosanitari.
A Caldaro Werner Morandell ha anche creato un “Museo delle Viti”, 340 vitigni provenienti da ogni angolo del pianeta. Li ha assemblati e catalogati piantandoli uno vicino all’altro in un sentiero didattico di straordinario fascino. Ogni varietà è descritta con una propria targhetta indicando l’origine di provenienza e le caratteristiche del singolo vitigno.
Nicola Biasi (Coredo) è diventato famoso con il suo “Vin de la Neu”
Altro pioniere dei vitigni Piwi è Nicola Biasi, papà noneso, mamma friulana, diventato famoso con il «Vin de la Neu» prodotto a Coredo-Predaia nell’Alta Valle di Non a quasi 1000 metri d’altitudine nella vigna di famiglia.
Un vino battezzato con questo nome dialettale per l’eccezionale nevicata (la «Neu») del 12 ottobre 2013, giorno della prima vendemmia. Limitatissima (508 bottiglie numerate) la tiratura della prima annata: il 2015. Un migliaio (comprese le magnum) le bottiglie prodotte nelle annate successive.
Questo straordinario vino bianco della Val di Non, un vino dalle caratteristiche complesse che affinano e migliorano negli anni, nasce da una varietà resistente alle malattie fungine: lo Johanniter, un incrocio tra il Pinot Grigio e il Riesling.
Ma sono soprattutto il territorio, l’elevata qualità del prodotto e la longevità del vino a essere i veri punti di forza di questo gioiello che ricorda i grandi vini bianchi da invecchiamento francesi.
I riconoscimenti: i Tre Bicchieri del Gambero e i 5 Grappoli di Bibenda
Le prime annate del «Vin de la Neu» hanno fatto incetta di riconoscimenti conquistando gli Oscar assegnati dalle più prestigiose guide del mondo enoico nazionale: i mitici Tre Bicchieri del Gambero Rosso, i 5 Grappoli di Bibenda e la Top 10 dei Migliori Vini d’Italia.
Il «Vin de la Neu» racchiude nel calice tutta la freschezza e l’armonia delle Dolomiti: un capolavoro creato con le uve Johanniter in purezza prodotte in Val di Non, a quasi 1000 metri di quota.
L’enologo trentino ha anche fondato la rete d’imprese Resistenti Nicola Biasi, un progetto che raggruppa per ora otto aziende vitivinicole italiane accomunate da un unico obiettivo: produrre vini di eccellenza praticando la reale sostenibilità in vigna e in cantina, salvaguardando così in maniera concreta l’ambiente.
In alto i calici. Prosit! (GIUSEPPE CASAGRANDE)
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