
(Adnkronos) – E' tornata a una vita normale grazie a un intervento di altissima complessità, condotto con chirurgia robotica, una donna trentenne madre di 2 figli che aveva avuto una grave complicanza in seguito a un parto cesareo. E' successo all'Azienda ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, dove l'équipe di Chirurgia urologica diretta da Paolo Emiliozzi è riuscita a risolvere un caso considerato da diversi specialisti "al limite dell'inoperabilità". Tutto ha avuto inizio in un altro ospedale romano, dove la donna era ricoverata per un cesareo programmato, spiegano dal San Camillo. Durante l'intervento eseguito in anestesia peridurale, qualcosa non è andato per il verso giusto. Sedata d'urgenza, la donna si è risvegliata in Terapia intensiva in stato settico, con due tubi di drenaggio per le urine che fuoriuscivano dal fianco. La Tac mostrava un grave danno degli ureteri (i sottili e delicati canali che connettono i reni alla vescica) e la pelvi della donna ridotta a un'unica cavità in cui confluivano utero, vescica e vagina, lacerati dall'intervento. La giovane donna è stata dimessa con le due nefrostomie, incontinenza urinaria completa attorno al catetere e senza programmi di cura. Dopo 3 mesi di vero e proprio calvario – prosegue l'Ao capitolina – dopo aver interpellato numerosi specialisti che escludono la possibilità di un intervento risolutivo, a ottobre dello scorso anno la donna si è rivolta al San Camillo, dove l'équipe di Urologia guidata da Emiliozzi decide di procedere con una chirurgia esplorativa robotica, tecnologia già consolidata presso il grande nosocomio romano e particolarmente indicata per operare in spazi ridotti con estrema precisione. Durante l'intervento, durato 6 ore, l'équipe si è trovata davanti a un'anatomia completamente sovvertita, con infiammazioni diffuse e gravi aderenze dovute al contatto prolungato degli organi con le urine che fuoriuscivano internamente. La prima ricostruzione ha riguardato l'utero: grazie alla collaborazione intraoperatoria di Giovanna Salerno, primaria della Ginecologia e Ostetricia, l'organo viene riparato e salvato. In seguito, per il delicato distacco della vescica dalla vagina, i cui tessuti erano fusi tra loro, l'intervento ha richiesto 2 ore di lavoro minuzioso con l'ausilio del robot, che ha consentito di ricostruire e riparare i tessuti gravemente danneggiati. Durante lo stesso intervento è stato ricollegato l'uretere sinistro alla vescica, mentre il destro, non individuabile a causa delle cicatrici, è rimasto drenato esternamente. A 3 mesi dal primo intervento, la paziente è tornata a urinare spontaneamente. Viene quindi pianificato un secondo intervento per recuperare il secondo uretere: il tratto del condotto ancora funzionante viene mobilizzato e reimpiantato sulla parte superiore della vescica. A 6 mesi dal primo intervento, la donna ha potuto rimuovere definitivamente tutti i drenaggi. Oggi ha ripreso una vita normale, senza bisogno di ulteriori interventi o terapie. "Si è trattato di un caso limite – commenta Emiliozzi – che ha richiesto competenze multidisciplinari e l'uso della chirurgia robotica ai massimi livelli. La possibilità di ridurre i movimenti a 1/6 rispetto a quelli della mano umana ci ha permesso di intervenire in uno spazio anatomicamente devastato, salvando organi vitali. Ma la più grande soddisfazione è stata quella di restituire il sorriso, dopo tanti mesi, ad una giovane mamma". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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