Stile e Società

Quattro chiacchiere con il Presidente di Go Wine Massimo Corrado

Tra consumi, dazi e e sostenibilità, l'opinione dell'anima dell'Associazione sui temi caldi del mondo del vino

Si è appena svolta a Roma la degustazione “Tutti i Colori del Bianco” appuntamento di approfondimento di Go Wine e tra i banchi d’assaggio, con grande piacere, abbiamo avuto l’occasione di scambiare qualche parere con Massimo Corrado, comunicatore e divulgatore della cultura del vino che con l’Associazione da lui presieduta raccoglie il plauso dei soci che frequentano i suoi appuntamenti.

La chiave del successo di questi incontri è il clima conviviale che si respira, al riparo da fenomeni e “sbicchieratori” seriali dal tunnel carpale infiammato. Nelle sale si incontrano solo “Medioman” del vino, quegli enoappassionati che non cercano effetti speciali ma solo autenticità, e stavolta è stato un piacere scambiare quattro chiacchiere con chi lo rende possibile.

Da quanti anni l’Associazione Go Wine è presente a Roma e come è cresciuta nel tempo?

Abbiamo cominciato nel 2004 e nel corso degli anni le nostre attività si sono sempre più consolidate. Oggi l’associazione propone una serie di appuntamenti di riferimento che si ripete ogni anno, come ad esempio “buono non lo conoscevo” a tema autoctoni e tanti altri, tipo quello di oggi dedicato ai bianchi e al loro invecchiamento. Sono concepiti come focus tematici di approfondimento ormai entrati in maniera stabile nel calendario annuale delle attività, oltre alla presentazione della nostra guida “Cantine d’Italia” a cui è dedicato un evento a parte.

Un calendario ricco che alla fine si traduce in quasi un evento al mese solo sulla piazza Romana

Oltre alle degustazioni in banchi d’assaggio come questa, lavoriamo per alzare la qualità grazie al coinvolgimento di quei soci interessati agli approfondimenti che proponiamo. Eventi più piccoli in contesti più ristretti, come ad esempio il recente appuntamento dedicato ai vini veneti con degustazione di otto vini che ha registrato la presenza di 40 soci. Per dare un riferimento ad oggi a fine ottobre l’appuntamento odierno è l’undicesimo dell’anno.

Qual è l’idea di fondo dell’Associazione Go Wine e da dove nasce?

L’associazione nasce nel 2001 e l’idea di fondo era quella di promuovere la cultura del vino e dell’enoturismo verso il socio Go Wine, che è prima di tutto un consumatore ma che non si limita all’apprezzare un vino ma vuole farsi viaggiatore e andare a scoprire il territorio in cui questo è radicato. Da qui Go Wine il vino che fa viaggiare, questa era un po’ l’idea.

Concetto su cui si fonda anche la guida “Cantine d’Italia” proposta ogni anno dall’associazione e dedicata alle cantine che “valgono il viaggio” come recita nell’intestazione.

Noi la chiamiamo la guida dell’accoglienza in cantina perché non ci sono solo i vini ma i luoghi, la storia delle persone, la bellezza del paesaggio e gli elementi culturali con cui si intrecciano queste realtà.

Come si è sviluppata Go Wine?

È partita dal Piemonte, che è il mio territorio, per poi aprirsi progressivamente in giro sulle altre città. Abbiamo fatto prima Bologna, poi Milano e Roma, poi sono arrivate le prime delegazioni di Lombardia e Liguria ma siamo in continua espansione.

Quante persone servono per gestire una realtà così diffusa sul territorio?

Le persone che lavorano in pianta stabile all’organizzazione di tutte le attività sono 5, poi localmente dobbiamo ringraziare la collaborazione attiva di tanti soci alle diverse iniziative sul loro territorio. Mi fa piacere ricordare come abbiamo rafforzato moltissimo il progetto durante il periodo del covid. Abbiamo studiato, abbiamo aderito alle novità del Terzo Settore, siamo diventati impresa sociale e adesso stiamo lavorando sulla sostenibilità.

A proposito di Sostenibilità, è indubbiamente un elemento essenziale intorno al quale sta ruotando tutto il discorso del vino, tu cosa ne pensi a proposito? È l’ennesima etichetta ad uso marketing oppure in che modo diventa veramente importante il concetto di sostenibilità? E come le Aziende sono riconoscibili in questo concetto dal consumatore?

La sostenibilità a livello generale è un valore forte perché comporta la presa di coscienze di diversi aspetti, evitare gli sprechi, la sana gestione, plastica, vetro, acque, e molto altro. Per quanto riguarda una Cantina la sostenibilità si sviluppa su una serie di elementi primi, tra i quali sicuramente la gestione ambientale, che va oltre il “bio” e investe tutti gli aspetti della gestione agronomica.

Poi oltre la vigna c’è l’aspetto sociale, vedi ad esempio i casi di caporalato oltre a tutti gli altri aspetti che riguardano i lavoratori e il contesto sociale in cui l’Azienda opera. In ultimo ma non meno importante c’è la gestione economica che diventerà un punto sempre più attuale, e cioè che il vino deve mantenere un’accessibilità.

Noi tra poco usciremo con un piccolo studio che abbiamo fatto sui prezzi, presentando ai soci un campione di 80 cantine e confrontando i prezzi tra i 2000 e il 2025.  La sostenibilità deve garantire la qualità ma allo stesso tempo deve rimanere accessibile. Il vino è una questione della terra un patrimonio comune, e non possiamo rischiare di trovarci con le nuove generazioni che non si avvicinavano al vino per una questione di prezzo.

In questi 30 anni come trovi cambiata la figura del consumatore rispetto al consumo di vino?

Il consumo di vino continua a scendere ma l’attenzione del consumatore continua ad essere molto alta. Arriviamo da un anno molto difficile che ha visto la campagna di attenzione sulle patenti di guida, le tendenze al consumo e tutta quell’informazione, secondo me sbagliata, che ha accomunato la cultura del bere vino a quella dell’alcol e delle sue tendenze in generale.

Per queste ragioni verrebbe da pensare che meno gente si avvicini al vino ma io dal mio osservatorio non ho assistito a un calo degli appassionati. C’è stato un contraccolpo dovuto al tema patente perché la gente si è spaventata, ora però sembra che in qualche modo ci sia stato un adattamento. Quel provvedimento ha seriamente rischiato di colpire il consumatore moderato e consapevole.

Quello della soglia “0,5” non è un consumo distruttivo per sé o pericoloso per gli altri ma rappresenta chi beve in maniera consapevole, chi “assaggia”, e l’inasprimento delle sanzioni lo hanno penalizzato e in qualche modo scoraggiato.

Prezzi dei vini e ricarichi al ristorante. Fenomeni come quello dei vignaioli con poche bottiglie, che riescono ad alzare l’hype sul loro vino grazie a quattro articoli e qualche post di influencer di tendenza su Instagram, per poi proporre l’anno dopo i loro vini a prezzi esorbitanti. Secondo te il mondo del vino il consumatore lo coccola o lo vede solo come una mucca da mungere?

Il mondo del vino parla poco, comunica poco, e credo debba risolvere questa questione che secondo me è venuta fuori alla grande proprio in occasione del decreto Salvini. Il mondo del vino deve cercare dei punti di unità “vera” tra le grandi organizzazioni come Federcop, Uiv, le organizzazioni di categoria e tutte quelle che rappresentano gli attori di questo settore.

Sulle grandi questioni il mondo del vino deve parlare una lingua sola. Non si può pensare che da Bruxelles si tratti una bottiglia di vino come un pacchetto di sigarette, o rimanere inermi sulla questione patenti di guida che ha mandato in crisi i consumi dei ristoranti come è successo lo scorso Natale. Il vino fa parte della civiltà del nostro paese, ed è frutto del lavoro straordinario degli ultimi 30 anni a cui hanno lavorato tutti per affermare una grande idea di qualità di vino, dai consorzi alle organizzazioni, ai viticoltori.

Secondo me per tutto questo ed anche per rispetto del consumatore, ora bisogna assolutamente mostrare forza e unità sulle questioni importanti. Dal punto di vista strettamente economico invece, se mi domandi come il mondo del vino tratta il consumatore ti dico, non è che lo tratti male ma dovrebbe esserci più attenzione. Cioè l’idea che passi il concetto che per bere un vino decente al ristorante bisogna spendere 30 euro quando 3 – 6 anni fa ne spendevi 20 o 15 non si può giustificare dicendo che questo è il mercato, perché così si vuole solo che la gente non consumi vino.

Quali pensi sia il nodo e quale la soluzione per il problema dei prezzi così alti di una bottiglia al ristorante?

La soluzione è difficile trovarla, il nodo secondo me è dato da grossi problemi di valutazione. La domanda è come lo decido il prezzo? Lo baso su un criterio di economia e finanza o ragiono solo sul brand? Perché se per avere un prodotto di successo, una volta apprezzato il vino devo solo aumentarne il prezzo, alla fine vado a danneggiare quel consumatore che ha decretato il mio successo.

Quindi eccezion fatta per quella piccola parte di Aziende che se lo possono permettere, l’aumento dovrebbe essere un aumento tecnico e non può essere smisurato, ma purtroppo questo non è quello che si verifica. Aggiungo che dalle nostre esperienze in giro con i soci, le reazioni sul tema prezzi sono pazzesche, trasversali e riguardano tutti i tipi di portafoglio.

Da chi può di più a chi può di meno sono tutti attentissimi a questa questione, e quando trovano un produttore che gli presenta un vino ben fatto ad un prezzo che è in linea con quello che spendevi qualche anno, sembrerà banale ma lo premiano e apprezzano veramente il suo lavoro. Al contrario esternano con noi e patiscono tantissimo certi ricarichi o rialzi di prezzo considerati ingiustificati.

Invece il discorso dell’enoturismo e dell’accoglienze come sta andando? Lo chiedo a voi visto che la pubblicazione della vostra Guida è praticamente un osservatorio permanente nonché un riferimento assoluto per chi ama viaggiare all’insegna della scoperta del vino.

È un fenomeno in costante evoluzione e fortemente dinamico, che sta generando sempre più una competizione virtuosa a far bene tra le cantine. Oggi chi ha la capacità d’investimento per fare l’accoglienza tipo agriturismo, b&b, ristorazione fa la strada, però tutti vanno comunque a promuovere l’esperienza in cantina sul loro sito internet.

Non si limitano a dire venite da me che siamo aperti ma, venite in cantina che si può fare questa esperienza. Ogni cantina cerca di narrare come ti vuole accogliere, un fatto secondo me positivo che non era così 5-6 anni fa e invece ora è in continua evoluzione, ed è un aspetto molto importante da osservare.

Domanda d’obbligo sui dazi alla luce della pesante battuta d’arresto registrata dall’export nel bimestre luglio – agosto sul marcato Usa, cosa ne pensi qual è la chiave per adattarci?

È ancora presto, molto difficile fare ora una valutazione approfondita, però di rimando ti dirò che se i dazi Americani sono un problema anche i prezzi interni lo sono, credo che dovremmo puntare a rafforzare i consumi e a dare centralità al vino sul mercato italiano, e poi vivaddio il vino si beve in quasi tutto il mondo e ci sono tanti altri mercati da approfondire.

Per chiudere una domanda che in genere faccio a tutti i produttori ma visto che la tua passione non è da meno lo chiedo anche a te. Per tutta l’esperienza che hai su vini e territori oggi, se avessi fatto il viticoltore, escludendo il Piemonte che è la tua confort zone in quale territorio ti sarebbe piaciuto farlo?

Io sono molto appassionato dell’Etna, mi piace molto perché non è un’idea scontata. Loro sono andati a riappropriarsi di una storia e hanno fatto un progetto straordinario, che associa un grande recupero culturale con una visione importante. Quello che è successo nell’Etna merita di essere studiato, anche il loro sistema di gestione, il sistema consortile, la loro organizzazione merita molta attenzione. Ho un ricordo degli anni 90 li c’era Salvo Foti e pochissimi altri. Il concetto di fondo è che loro hanno fatto un’operazione di recupero di una grande materia e con una grande chiarezza d’identità, cosa che molti altri produttori o territori dovrebbero fare.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 

 


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