
Per la famiglia Contrada il vino è una questione datata intorno ai primi del 1900, ma che incarna una sua propria identità nel 2003 quando vengono prodotte le prime bottiglie. Gli artefici di questa trasformazione sono Michele e Gerardo, i primi in famiglia ad intravedere una prospettiva diversa dalla semplice coltivazione della vite.
Anche se hanno maturato esperienze comuni, i fratelli Contrada si sono dati ruoli ben delineati. Michele che rappresenta l’identità più contadina, sempre in vigna vicino alla terra, che grazie alla quotidianità decennale ha imparato a conoscere nei suoi aspetti e nelle sue sfumature più complesse. Al suo fianco Gerardo è la figura che si occupa degli aspetti commerciali e del marketing, sperimentando modi sempre nuovi per diffondere i valori della viticoltura Irpina di qualità.
Ma quando si dice che il vino è una questione famigliare per i Contrada non è tanto per dire, perché in Azienda è coinvolta anche Rita che fornisce il suo prezioso contributo in cantina, dove opera l’enologo Carmine Valentino. La quota di innovazione è apportata dal giovane Mattia, rappresentante della nuova generazione dei Contrada a cui è affidata la prosecuzione di una lunga tradizione. Studente di Scienze Agrarie è già pienamente coinvolto nelle attività dell’Azienda completando un mix di cultura radicata nel territorio ma volta al futuro.
È proprio il giovane Mattia, che ringraziamo, a raccontarci dell’Azienda e della sua visione generale della viticoltura:
Il rapporto con la vite entra a far parte del DNA familiare nei primi anni del 1900, ma è solo nel 2003 che i fratelli Michele e Gerardo fondano l’azienda Contrada, che oggi conducono con le famiglie insieme a Mattia, figlio e nipote iscritto ad Agraria, a cui chiediamo cosa spinge a trasformare una passione in un’azienda totalizzante come quella di viticoltore che coinvolge l’intera famiglia?
Trasformare una passione in un’attività totalizzante come la viticoltura è possibile quando si comprende fino in fondo il valore del sacrificio e del lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto. Nel mio caso, tutto parte da mio nonno, che per primo intuì il potenziale del vitigno Fiano, oggi colonna portante della nostra azienda. Su queste radici si è innestato l’impegno costante di mio padre e di mio zio Michele, che hanno dedicato anni di lavoro alla cura dei vigneti.
È stato proprio osservando la loro dedizione che ho compreso la ricchezza del mondo del vino: non solo passione e bellezza, ma anche fatica, responsabilità e continuità familiare. Oggi, portare avanti questa tradizione significa custodire uno dei valori più importanti per la nostra realtà di Candida e per l’identità stessa del nostro territorio. Per me, il vino non è soltanto un prodotto, ma un linguaggio attraverso cui raccontare la storia della mia famiglia e della mia terra.
Nella conduzione dell’azienda come si sposano le anime più contadine ed i saperi esperienziali di Michele e Gerardo con la tua intraprendenza giovanile e maggiormente tecnica supportata dalle conoscenze della moderna viticoltura?
Portare all’interno dell’azienda la mia idea di viticoltura, più tecnica e aggiornata, rappresenta una sfida, poiché mio padre e mio zio hanno un legame profondo con la tradizione e con un modo di fare molto vicino alle pratiche di vent’anni fa. Oggi, però , la viticoltura è profondamente cambiata, e la mia generazione può offrire strumenti e conoscenze in grado di integrare e valorizzare quanto già costruito.
Attraverso spiegazioni, esempi pratici e l’uso dei dati, riesco a dimostrare come certe innovazioni possano migliorare aspetti specifici della produzione, senza snaturare il valore di base dei nostri vini. È un processo graduale, che richiede tempo, confronto e soprattutto la capacità di ascoltare e imparare dall’esperienza. È un processo graduale, che richiede tempo e confronto, ma che consente di fondere esperienza e innovazione in una crescita condivisa.
Negli ultimi anni l’Irpinia ha guadagnato sempre più stimatori, posizionando i vini bianchi campani tra le eccellenze nazionali. Quali fattori ne hanno ritardato un’affermazione oggi così evidente?
L’affermazione dei vini irpini, in Italia e all’estero, è stata rallentata soprattutto dalla mancanza di una rete coesa tra le aziende del territorio. Spesso si è guardato più al successo individuale che alla crescita collettiva, e questo ha reso difficile costruire un’identità condivisa e forte. Credo che oggi più che mai sia necessario fare squadra, condividere obiettivi comuni e lavorare insieme per promuovere le denominazioni e la qualità complessiva dell’Irpinia. Un altro elemento che ha inciso è stata la comunicazione: per lungo tempo non è stata al passo con i tempi, limitando la capacità di farsi conoscere all’estero.
Solo ora, grazie a una maggiore attenzione alla promozione, alla presenza a fiere ed eventi e all’utilizzo dei canali digitali, l’Irpinia sta conquistando il posto che merita. È un percorso che richiede tempo, ma pian piano stiamo entrando in carreggiata.
Il vino come espressione culturale del territorio: come si esprime questa relazione nei vostri vini?
Per noi il vino è la massima espressione culturale del territorio. Questa relazione si concretizza nelle nostre scelte produttive: utilizziamo esclusivamente vitigni autoctoni, evitiamo blend con vitigni internazionali, per garantire che ogni vino rappresenti al 100% la varietà da cui esso nasce. Inoltre, stiamo sperimentando l’uso di lieviti indigeni, che permettono di esaltare ulteriormente l’identità territoriale e di dare ai nostri vini un’impronta unica.
Si tratta di un percorso non privo di complessità , che richiede rigore, attenzione e grande cura, ma che può offrire risultati straordinari in termini di autenticità e riconoscibilità. In questo modo, ogni nostra bottiglia diventa un racconto del territorio e della sua cultura vitivinicola.
Per esprimere il territorio, l’utilizzo di vitigni autoctoni è imprescindibile oppure ci sono altre vie?
Sono convinto che i vitigni autoctoni siano la via privilegiata per raccontare un territorio. Sono essi a custodire la storia, l’identità e le caratteristiche uniche di una zona vitivinicola, ed è per questo che nella nostra azienda lavoriamo esclusivamente con varietà locali. Certo, ci possono essere anche altre vie per esprimere la territorialità, ma credo che nulla sia più efficace dell’uso di vitigni autoctoni, unito a pratiche enologiche capaci di esaltarne le peculiarità . Solo così si ottiene un vino che non solo rappresenta un prodotto, ma diventa anche il simbolo del luogo da cui proviene.
Quali sono le peculiarità che puntate ad esprimere nei vostri vini e attraverso quale modello agricolo e di conduzione del vigneto cercate di trasmetterle?
Le peculiarità che cerchiamo di trasmettere nei nostri vini partono dal rispetto e dalla valorizzazione del vitigno di origine: ogni bottiglia deve poter essere immediatamente ricondotta alla varietà da cui nasce. A questo si aggiunge la nostra filosofia produttiva, che pone grande attenzione alla longevità : crediamo molto nella capacità dei nostri vitigni – Fiano, Greco e Aglianico – di generare vini da invecchiamento, ed è proprio questa la direzione in cui orientiamo il nostro lavoro.
Sul piano agricolo adottiamo il modello della lotta integrata, con l’obiettivo di ridurre al minimo l’impiego di prodotti chimici o di sintesi e di preservare l’equilibrio naturale del vigneto. Dov’è possibile adottiamo pratiche di inerbimento naturale, accompagnate da altre operazioni colturali come: potatura verde, cimatura, diradamento e defogliazione, che ci consentono di mantenere uno stato sanitario ottimale delle uve. In questo modo, portiamo in cantina materie prime sane adatte ad una vinificazione capace di dar vita a vini autentici, longevi e coerenti con il nostro territorio e il nostro obiettivo enologico.
Davanti a regolamenti sempre più limitanti e cambiamenti culturali verso il mondo del vino e dell’alcol in generale, cosa significa oggi per te continuare a fare il produttore?
Oggi, per me, continuare a fare il produttore in realtà significa iniziare un nuovo percorso imprenditoriale, sulle orme di mio padre e di mio zio. Rispetto al passato, il contesto è cambiato: la concorrenza è cresciuta e la qualità generale dei vini si è innalzata, rendendo più difficile distinguersi. Questo, però, non lo vivo come una difficoltà , ma come uno stimolo a dare il massimo.
Ciò che mi spinge davvero è il desiderio di portare avanti i sacrifici e la tradizione della mia famiglia, trasformando questo patrimonio in un progetto che guarda al futuro senza dimenticare le radici. Fare il produttore oggi non è solo un mestiere, ma una responsabilità culturale e morale verso il territorio e verso chi ci ha preceduto.
Quali energie dedicate all’export e quali strategie pensate possano essere efficaci per fronteggiare l’esplosione dei dazi?
La nostra strategia per l’export parte da un approccio semplice e concreto: instauriamo un primo contatto con l’importatore, seguito da una fase di degustazione dei vini attraverso incontri diretti o l’invio di campionature. I mercati sui quali stiamo concentrando le nostre energie sono gli Stati Uniti, il Canada e diversi paesi orientali che negli ultimi anni hanno mostrato grande interesse per il vino irpino.
Per quanto riguarda i dazi, il loro impatto sulla nostra azienda è stato limitato: essendo una realtà piccola, non esportiamo con continuità costante mese per mese, ma pianifichiamo le spedizioni in periodi distanziati dell’anno. Questo modello ci ha permesso di assorbire meglio le difficoltà e di mantenere relazioni solide con i nostri partner esteri.
Secondo te quale provvedimento legislativo o amministrativo aiuterebbe lo sviluppo dell’agricoltura, specie in un territorio di questo tipo?
Dal punto di vista vitivinicolo, ritengo fondamentale intervenire sui disciplinari di produzione. Sarebbe utile rivedere le politiche relative ai prezzi e alle rese minime per ettaro, che oggi rischiano di penalizzare le realtà medio-piccole. Infatti, quando ci sono aziende che immettono sul mercato il loro prodotto di punta a prezzi molto bassi, finiscono per danneggiare chi lavora con sacrificio per offrire vini di qualità superiore.
Lo sviluppo dell’agricoltura passa quindi da una regolamentazione più attenta e, soprattutto, dalla capacità delle imprese di fare rete. Solo collaborando sarà possibile valorizzare il territorio, le denominazioni e le piccole realtà, creando un contesto in cui i produttori di nicchia possano emergere con i loro vini autentici e riconoscibili.
Se non avessi fatto il viticoltore nella tua zona di origine, in quale stato, paese o territorio ti sarebbe piaciuto farlo e con quale vitigno?
Il mio legame con il vino nasce dal territorio in cui sono cresciuto e dalla mia famiglia: è qui che ho imparato ad apprezzare e ad amare questo mondo, ed è per questo che considero l’Irpinia il luogo ideale, e insostituibile, per svolgere questo lavoro. Se però dovessi immaginare un’alternativa, direi che mi sarebbe piaciuto fare esperienza in Francia, patria storica della viticoltura mondiale.
Il vitigno con cui mi piacerebbe cimentarmi sarebbe il Riesling: un’uva affascinante per le sue caratteristiche organolettiche e per la sua longevità, che in qualche modo richiama il Fiano, rendendolo un terreno di confronto stimolante e molto formativo.
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