Stile e Società

Fratta Polesine, il banchetto dei Carbonari

Fratta Polesine, il banchetto dei Carbonari A Villa Molin-Avezzù la cena con i piatti ispirati alle ricette del regno Lombardo-Veneto 

Fratta Polesine, il banchetto dei Carbonari

A Villa Molin-Avezzù la cena con i piatti ispirati alle ricette del regno Lombardo-Veneto

San Martino nelle campagne venete è ricordato come il periodo per la preparazione dei terreni e della fine dei contratti di mezzadria. In  provincia di Rovigo,  a Fratta Polesine, assume un significato storico: qui nacque e si diffuse la setta della Carboneria, che segnò l’inizio del riscatto dalla dominazione austriaca dell’Italia. Ogni anno a  novembre, Fratta Polesine rivive le giornate carbonare.

Nel 2011, la rievocazione storica in costume della Festa di San Martino nella Fratta austriaca del 1818 ha assunto un significato particolare: è stata inserita nelle manifestazioni per il 150 anni dell’Unità d’Italia e ha festeggiato la decima edizione dell’evento che, anno dopo anno, richiama un numero sempre crescente di persone che giungono da tutto il Veneto.

La rievocazione della vicenda storica documentata, che coinvolge come figuranti l’intera comunità di Fratta, è legata alla festa di San Martino, con i frattesi che escono dall’oratorio di villa Badoer dopo avere assistito alla messa in onore del patrono.

La gente si ferma in piazza,  balla, assiste alle esibizioni dei giocolieri, fa acquisti al mercatino ambientato come nel 1818, mentre in mezzo alla folla passa un carro che trasporta le povere masserizie dell’ultimo fittavolo che trasloca a conclusione del contratto agrario.

Tra il popolo si aggirano anche i borghesi e gli aristocratici, molti con simpatie verso la Carboneria, fanno campanelli a parte e si salutano in modo inconsueto, si parlano con circospezione.

A turbare la festa è l’esercitazione dei soldati della gendarmeria austriaca. Improvvisamente, il popolo inizia a schernire le g

uardie austriache con il lancio di verdura, mentre i carbonari diffondono manifesti antiaustriaci e leggono di nascosto  “Il Conciliatore”, stampato a Milano da Federico Confalonieri e Silvio Pellico.

La reazione dei gendarmi e durissima che reagiscono sparando e fermando i “sobillatori”. Altri arresti eccellenti vennero fatti a villa Grimani – Molin (ora Avezzù- Molin). Qui, per le due sere della rievocazione, viene messo in scena, da attori non professionisti, il “banchetto carbonaro”,  con tanto di menù che si ispira alle ricette in uso nel 1818.

Documenti storici testimoniano che alla cena offerta dalla contessa Cecilia Monti, moglie del generale francese bonapartista D’Arnau parteciparono il conte Antonio Fortunato Oroboni,  Angelo Gambato, Antonio Francesco Villa, don Marco Fortini (apprendista della setta che subì l’umiliante rito della sconsacrazione da parte del Patriarca di Venezia).

Momento saliente della rappresentazione è l’irruzione nella villa dei gendarmi e l’arresto di tutti gli ospiti e della nobildonna. Oroboni e Villa, processati per alto tradimento e condannati alla pena del carcere d

 

uro finirono allo Spielberg, diventando compagni di detenzione di Silvio Pellico.

La riuscita della rievocazione storica la si deve in gran parte all’Amministrazione Comunale di Fratta che, non senza sacrifici, si è costantemente spesa per migliorare l’evento. Il crescente successo ha ripagato gli sforzi: non solo dal Veneto ma anche dall’Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte arrivano ogni anno in centinaia per respirare l’aria complice della Carboneria.

Il menu del banchetto dei carbonari

Chi ha avuto la possibilità di partecipare al banchetto carbonaro a Villa Molin-Avezzù, ha potuto gustare i piatti ispirati alle ricette legate alla tradizione di quando Fratta Polesine faceva parte, come tutta la provincia di Rovigo, del Regno Lombardo -Veneto.

Un menù che, nel corso degli anni, si è sempre dimostrato all’altezza della rievocazione storica preparato dagli chef del ristorante Il

 Pioppeto di S. Cuore di Romano d’ Ezzelino (Vicenza) improntato alla valorizzazione dei prodotti del territorio 

e alla rivisitazione di antiche ricette del Polesine.

Dal 1988, il patron Sergio Dussin gestisce lo staff del Pioppeto come fosse una squadra di calcio. Ognuno ha un ruolo preciso.  Il catering del Pioppeto è “di casa” in Vaticano. Tanto che Sergio è chiamato lo “chef dei quattro Papi” (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco ed ora Leone XIV) perché i piatti del Pioppeto sono sempre presenti negli eventi più importanti.

Dal pranzo delle Guardie Svizzere, a quelli della Pontificia Accademia delle Scienze, dai ricevimenti dei capi di Stato, fino alle conviviali dei Cardinali con il Papa. Quest’anno il menu carbonaro, elaborato da Sergio Dussin ed apprezzato dai numerosi presenti alla cena in villa, ha fatto gustare due primi: risotto con radicc

hio e formaggio polesano e tortelli ripieni di funghi porcini con burro e salvia. Piatto forte, molto atteso, la bondola polesana con purèe di patate e cren. Il salume di nicchia  è prodotto dalla macelleria Gran Carni Group di Stanghella.

La bondola alla cui lavorazione, preparazione dell’impasto e stagionatura sovrintende personalmente Gianni Astolfi, titolare della macelleria, è stata gustata anche in Vaticano, da Papa Francesco, dai Cardinali e dagli ospiti illustri.  “L’impasto della nostra bondiola – spiega Astolfi – è semplice.

Oltre alle carni selezionate usiamo il succo d’aglio e il vino merlot, nessun tipo di conservanti e coloranti.

La ricetta è la stessa che faceva mio padre Osvaldo, macellaio di r

azza, quando sopprimeva i maiali e confezionava le bondole per la famiglia e i clienti”. 

Oggi come allora la produzione dell’insaccato è limitata e selezionata. A conclusione il “dolce dei carbonari”, semifreddo a tre strati con i colori della setta segreta. Il nero carbone della copertura rappresenta le fede incrollabile, il rosso l’impegno ed il sacrificio anche della vita per raggiungere lo scopo e l’azzurro la speranza di libertà.

Chicca finale il dolce da forno del Carbonaro, creazione del panificio Bacchin di Fratta. Un impasto semplice con le materie prime poco elaborate dell’Ottocento e farcito di castagne glassate che si ispira alla stagione di San Martino, periodo cruciale della Carboneria del Polesine.

 

 


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