La parola ai produttori

Eliseo Santoro, rappresentante di quell’artigianato del vino che non morirà mai

La Campania del vino cresce mantenendo l’autenticità come tratto distintivo delle sue produzioni

Tempi di alti e bassi per il vino. C’è chi vorrebbe condannarne in toto il consumo demonizzandolo, e chi vorrebbe ridurlo a una bevanda alcolica di tutt’altra natura. Fortunatamente però al di fuori dei grandi salotti e delle grandi piazze, l’essenza vitivinicola italiana sopravvive nella differenziazione delle sue dimensioni locali, capaci di sfuggire all’omologazione.

Il merito sta nella capacità di traghettare ai giorni nostri saperi ed esperienze maturate da generazioni di viticoltori, portate nel quotidiano da quanti con il loro lavoro sanno mantenerne attuali i valori, senza stravolgerli al servizio dell’innovazione tecnologica. Questi Artigiani del vino senza preoccuparsi più di tanto delle “luci della ribalta”, hanno il grandissimo merito di salvaguardare l’essenza e i contenuti del mondo vitivinicolo italiano senza svenderli ai social nella ricerca di un facile “WOW” costruito a tavolino.

Bene male di queste personalità enoiche ogni territorio ha la fortuna di averne più di uno, come Paternopoli nel cuore dell’Irpinia dove il livello qualitativo almeno dell’ultimo decennio si è alzato a livello esponenziale.

È qui che Eliseo Santoro fedele a sé stesso e alla sua idea di vino, da ormai trent’anni porta avanti la sua Azienda insieme alla moglie Ivana. La sua produzione non insegue le tendenze di mercato, ma punta a rappresentare l’unicità del territorio irpino attraverso la coltivazione dei suoi autoctoni, quali Aglianico, Falanghina e Coda di Volpe, utilizzando metodi di coltivazione sostenibili e rispettosi per l’ambiente.

Il suo lavoro è rivolto ad un pubblico di nicchia, capace di apprezzare queste prerogative. Una storia che ha inizio nel 1933 con Angelo Michele Santoro bisnonno di Eliseo, che tra le difficoltà del mondo contadino del tempo fatte di fatica, lavoro e sacrificio, arriva fino ai giorni nostri attraverso Eliseo, svezzato direttamente in vigna dove ha trascorso l’infanzia e che già in giovane età assume la conduzione dei vigneti.

Il suo lavoro, la sua passione e il suo  “credo” sta tutto nella parole che abbiamo avuto la fortuna di raccogliere direttamente da lui:

Dall’infanzia fino ad oggi come habitat naturale, cosa rappresenta oggi per lei stare in mezzo ai filari?

Sono stato portato in vigna da mia madre fin dai primi mesi di vita per necessità, era lei all’epoca a prendersene cura ed io ero custodito in un cesto all’ombra degli alberi da frutto (pero, melo, ciliegio, ulivo, albicocca, prugne), tra cui anche gli olmi. Crescendo è nata la passione per i vigneti e successivamente per i mezzi per la lavorazione degli stessi. Oggi per me stare in mezzo ai filari rappresenta libertà di esprimere un vero e proprio sentimento di vero rispetto verso le piante e il frutto che portano. È nata una vera e propria empatia con il nostro territorio.

Tracciando un bilancio alla soglia di questi trent’anni di attività insieme a sua moglie Ivana, quali sono i tratti più importanti della sua-vostra esperienza di viticoltori?

Insieme abbiamo preso consapevolezza delle difficoltà che ci possono essere nella conduzione dell’azienda vitivinicola nel rispetto del territorio e del consumatore finale. Mia moglie ha acquisito passione per la viticoltura e compassione per il viticultore, nella lotta condotta anno dopo anno per portare a termine il raccolto affrontando le tante problematiche legate alle stagionalità che cambiano di anno in anno.

Quello di Paternopoli, nel cuore dell’Irpinia è un territorio ad altissima vocazione vitivinicola, qual è la sua ricetta per permettere ai vini di esprimere tutta la sua qualità?

Si è vero, l’Irpinia è una bella terra e Paternopoli è sì un territorio ad alta vocazione vitivinicola e noi ci riteniamo fieri di farne parte, per valorizzare il nostro territorio abbiamo scelto di produrre vini identitari. La nostra azienda è condotta in regime biologico, selezioniamo i grappoli sin dai primi germogli ed effettuiamo concimazione organica misto a sovescio a file alterne, per il restante dei filari, pratichiamo solo inerbimento spontaneo, pratichiamo nel corso dell’anno nei nostri vigneti diserbo meccanico.

Lavoriamo con passione i nostri vigneti tutto l’anno e ce la mettiamo tutta per portare in cantina un raccolto selezionato di eccellente qualità, questo ci permette di produrre vini artigianali senza compromessi con fermentazione spontanea, non chiarificati e non filtrati, senza alcuna alterazione chimica. I nostri vini, sia bianchi che rossi sono prodotti con le nostre uve biologiche raccolte a mano pigio diraspate e fermentate con bucce.

In epoca a di progresso tecnologico cosa significa produrre un vino artigianale?

Certamente non è una strada semplice, in un’epoca di consumismo ed industrializzazione è quasi un navigare controcorrente ma a noi le cose semplici ci annoiano e preferiamo distinguerci sul mercato. Nella realtà condurre un’azienda a filiera chiusa, toccare con mano ogni singola pianta in ogni sua fase vegetativa, ascoltare il sound della natura e inebriarsi dei profumi dell’odore della Terra, dei fiori di campo, dell’erba dei grappoli di uva in fioritura continuando con l’odore dell’uva pigiata, le mani sporche di mosto, il ribollire dei tini, l’odore del mosto in fermentazione, la pressatura con il torchio, il maneggiare le vinacce e assaporare e vivere la trasformazione del mosto in vino in tutte le sue fasi di affinamento fino alla bottiglia e successivamente al calice, non ha prezzo.

Quali sono i tratti distintivi a cui proprio non può rinunciare nella produzione di un suo vino?

I tratti distintivi ai quali non posso proprio rinunciare per produrre un vino identitario non riproducibile è la fermentazione spontanea con i lieviti indigeni.

In base ai nuovi modelli di consumo e contestualizzazione del vino come sarà il vino del futuro?

Dal mio punto di vista e per la mia esperienza credo che il consumatore appassionato abbia sempre più consapevolezza di quello di cosa beve ricercando prodotti che rispecchino i suoi gusti. Alla fine è sempre il consumatore finale a decidere, che sia una decisione personale o indotta dal consumismo. Ed è quello che fa e farà la differenza su come sarà la maggior parte del vino del futuro.

L’impiego dei vitigni autoctoni per valorizzare il territorio è imprescindibile oppure si possono utilizzare altre varietà?

Se parliamo di valorizzazione del territorio, di sicuro i vitigni autoctoni ne sono la base, l’utilizzo di altre varietà è una scelta esclusivamente commerciale.

L’aglianico rispetto al passato viene sempre più apprezzato. Sono cambiati i metodi produttivi oppure è semplicemente aumentato il tempo medio di affinamento prima di metterlo in vendita da parte dei produttori?

Di sicuro viene sempre più apprezzato perché rispetto a qualche decennio fa è cambiata la comunicazione, ma soprattutto sono cambiati i metodi di coltivazione e di vinificazione cercando di riprodurre un vino, si di struttura, ma piacevole da bere.

Secondo te quale provvedimento legislativo o amministrativo aiuterebbe lo sviluppo dell’agricoltura specie in un territorio di questo tipo?

Domanda importante alla quale non è facile rispondere! Di sicuro di provvedimenti legislativi per la tutela del territorio e dei D.O.C.G ce ne sono già abbastanza, forse andrebbe snellita la pressione fiscale e burocratica che il più delle volte mette in ginocchio le aziende facendo aumentare i costi di produzione in maniera esponenziale.

I vini senza alcol, chiamiamoli così, sono un ostacolo alla produzione oppure un ulteriore opportunità?

Sicuramente per i produttori di bevande è un ulteriore opportunità, per i produttori di vino un po’ meno, anche se a sua volta la produzione di vino zero alcol potrebbe, dico potrebbe, aumentare la richiesta di uve favorendo ipotetici produttori.

Se non avessi fatto il viticoltore nella zona di origine, in quale stato-paese o territorio ti sarebbe piaciuto farlo e con quale vitigno ti sarebbe piaciuto cimentarti?

La Toscana. Con i suoi casolari, con i viali alberati circondati da vigneto, sarebbe stato di sicuro una bella esperienza da fare! Aldilà del tipo di vitigno.

Bruno Fulco

 

 

 

 

 


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