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Chi salverà i giornalisti dell’agroalimentare?

Una volta esistevano i press tour (chiamati anche educational) cioè giornate organizzate da enti pubblici che volevano far conoscere il proprio territorio e le proprie eccellenze ai giornalisti di settore. Oggi vengono chiamati solo i blogger e i giornalisti son lasciati a casa.
Come giornalisti assistiamo impotenti ad incontri infarciti di blogger e di instagrammer e la domanda che nasce spontanea è:
ma visto che si parla di territorio e di produzioni agroalimentari che vanno ad influire sulla salute della gente, la qualità e il controllo dell’informazione non dovrebbe essere al primo posto?

Ognuno è libero di far ciò che vuole ma i giornalisti di settore, quelli veri che si documentano, che cercano di capire prima di scrivere anche solo una riga, iniziano a domandarsi perché studiare tanto, pagare tasse, un Ordine e la sua cassa, fare corsi di aggiornamento continui, fare interviste, scrivere libri su cibo e salute se poi si preferisce informare chi mette tre foto e fa un leva e metti su instagram (se non usa alti mezzi) per aumentare i follower?

Mi domando sempre se davvero è così importante per chi fa cultura alimentare e impresa turistica avere tre foto su un social per qualche ora (il tempo di un tour) o aver mostrato il proprio lavoro ad un giornalista che oltre a scrivere un articolo alla prima occasione si ricorderà e utilizzerà le informazioni ricevute per altri pezzi in cui includerà il vostro territorio e le sue eccellenze.

I giornalisti dell’agroalimentare si interrogano e anche qualche giornalista scientifico lo sta facendo perché capita che a scrivere di cose importanti per la salute sia l’ultimo arrivato in redazione che acchiappa in rete delle informazioni, le mette insieme e fa partire il fatidico click.

Tornando all’agroalimentare, oggi strettamente legato al settore turistico e quindi allo sviluppo ma anche alla valorizzazione di prodotti in via di estinzione, il problema è puramente di natura culturale. La cultura è ciò che fa crescere un popolo ma se anche chi deve pensare a ciò si lascia affascinare da qualche foto in più in rete, la cultura ha perso in partenza.

Poi c’è da dire che molti giornalisti sono anche bravissimi in rete e non si limitano a scrivere pezzi su giornali cartacei ma, soprattutto, a scrivere pezzi su testate e magazine che hanno migliaia di lettori. Conoscono bene il SEO e le sue trasformazioni, fanno video, scrivono libri, hanno una cultura specifica occupandosi, appunto, solo del settore agroalimentare. E allora perché non hanno la stessa attrattiva per chi vuol far conoscere ciò che fa? Il discorso potrebbe essere politico ma non è il caso di inoltrarsi, in questa sede, su questa via.

Intendiamoci ci sono bravissimi blogger che non mettono solo foto o ricette di cucina ma che sanno scrivere bene e si documentano e son davvero preparati più di certi giornalisti ma sono molto pochi. E mentre i giornalisti per sopravvivere son costretti a fare i salti mortali ad accettare da quei pochi editori rimasti pagamenti da fame (anche solo 3 euro a pezzo) tanti blogger che fanno altro di mestiere (dall’architetto, al comunicatore improvvisato ma ben pagato, dall’impiegato pubblico che fa 8-14 e che guadagna pure come quadro ma si diletta sul suo blog e viene pagato profumatamente per andare a il fine settimana a vedere e provare, fino anche alla casalinga annoiata) vengono tenuti in alta considerazione da enti pubblici ed aziende.

Giornalisti una “razza” in via di estinzione.

E che i giornalisti (e non solo dell’agroalimentare) siano una “razza” che non ha più senso di esistere si vede bene in Toscana dove la maggior parte degli Enti pubblici non rispetta la legge che impone di mettere la comunicazione istituzionale ai giornalisti formati, preparati, aggiornati. E a nulla valgono i richiami dell’ordine regionale.

Va anche detto che aver creato due categorie “pubblicisti” e professionisti” ha dato modo, una volta nata la rete, una grande confusione. E su questo l’ordine dei Giornalisti, se vuole sopravvivere con dignità a se stesso, dovrebbe prendere posizioni chiare basate su meriti e non su esami a pagamento.

Guardando dalla parte chi cerca visibilità si crede che essendo spariti i lettori non serva chi sa scrivere e comunicare con cognizione di causa.
Ma la nuova tendenza, quella latente, sottile, è fatta da gente che si è stufata del “pressapochismo” dilagante, gente che sa che non ci si deve fermare al primo titolo che ci colpisce, gente che sa come riconoscere una fake news, gente che sta acquistando una nuova consapevolezza che o esce dalla rete o, se ci sta, fa le pulci ad ogni parola.
Questo salverà il giornalismo ma ci vorrà del tempo.

Roberta Capanni


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Sonia Biasin

Giornalista pubblicista, diploma di sommelier con didattica Ais e 2 livello WSET. Una grande passione per il territorio, il vino e le sue tradizioni.

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