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Non c’è pace per la nostra pesca

Sulle quote del pesce spada un nuovo giro di vite da oltre 500 tonnellate per l’Italia, un’odissea infinita per il nostro settore pesca.

È proprio vero che non contiamo nulla nella UE, e quei quattro sopravvissuti che si ritengono ancora padroni delle sorti della Nazione e in Europa contano meno di niente, nonostante alcuni stimabili rappresentanti, che a loro volta evidentemente poca voce hanno.
L’Italia non ha più la credibilità di un tempo, entrata nella zona euro è diventata la Cenerentola che la Matrigna e le sorellastre possono disporre come meglio credono (vedasi la questione immigrazione, un’altra infima pagina per la nostra “sovranità”). Nella fiaba, però, la fanciulla diventa Principessa e Regina, ma ahimè la favola della Cenerentola italiana è già finita prima: rimane servitrice del duetto Macron e Merkel.

Dal Coordinamento Nazionale del Settore della Pesca riceviamo un comunicato, che riporta l’opinione dell’Alleanza delle Cooperative Pesca, preoccupata per lo scenario che si va delineando nella proposta di regolamento della Commissione europea presentata al Consiglio. La ripartizione delle quote di pesca per il pesce spada assegna all’Italia 3.723,36 tonnellate annue, cinquecento in meno rispetto alla produzione registrata dall’Italia negli ultimi anni.

“È inaccettabile una scelta di questo tipo che rimette in discussione il sistema di ripartizione adottato in sede Iccat (Commissione internazionale per i grandi pelagici), secondo il quale all’Italia verrebbe assegnata una quota al di sopra delle 4000 mila tonnellate”, dichiara l’Alleanza delle Cooperative Pesca. “Se invece dovesse passare la linea della Commissione – commenta l’Alleanza – si avrebbe un crollo della produzione ittica nazionale, perdita di posti di lavoro, a favore di un aumento del 30% dell’import proveniente soprattutto da Tunisia e Marocco”.

L’Alleanza contesta l’arco temporale scelto dalla Commissione europea per valutare le produzioni dei singoli paesi, da utilizzare come base per il riparto: “Prendere in esame solo gli anni dal 2012 al 2015 offre una visione miope, non reale e che danneggia oltremodo l’Italia, principale produttore europeo, dando un grande vantaggio ai paesi del nord Africa e anche alla Spagna. Occorre assolutamente invertire rotta e ripensare ad una distribuzione più obiettiva, partendo dall’esame delle produzioni ittiche registrate dal 2010”.

Non c’è ancora pace per il nostro settore pesca. E se ne vedranno altre, quando – nonostante il disdegno della Repubblica Croata – si verrà ad un compromesso nella vertenza tra Croazia e Slovenia sui tratti di mare di competenza e di sbocco, non poco importanti per il settore ittico dell’Alto Adriatico, già oggetto di controversie, anche con pesanti risvolti penali.

Maura Sacher


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