
Le festività natalizie limitate dal virus hanno confermato che il vino prodotto in Italia si è ben difeso rispetto agli altri paesi produttori.
Le cantine hanno pagato un prezzo salato alla pandemia per cui è necessario pensare a piani di sviluppo per tutta la filiera.
Nel 2020 si sono approntati nuovi regolamenti UE per fronteggiare gli iniqui dazi Usa imposti dal tronfio ormai ex presidente Trump e per reagire alle incertezze del mercato cinese.
Le cantine hanno usufruito della maggiore flessibilità delle regole OCM ed è stata avviata la distillazione di crisi.
L’Italia si colloca al nono posto nel mondo tra i paesi esportatori del settore agroalimentare e al terzo posto tra quelli che nell’ultimo decennio hanno visto crescere di più le esportazioni di vino e alimentari.
Il consumo di bollicine italiane è in linea con quelli del 2019 con un incremento di 1,5% e un + 2,7 % nel mercato estero.
Assai peggio fanno i nostri diretti concorrenti ovverosia gli odiati amati cuginasti franzosi per non parlare dei più modesti Cava iberici.
In calo netto l’importazione di bollicine straniere, in questi tempi di pandemia i consumatori prediligono le bollicine autoctone.
La maggiore versatilità di gamma delle bollicine italiane è in grado di reagire meglio alle dinamiche di mercato.
Le feste natalizie e di inizio anno nuovo valgono il 35 % delle vendite annuali di vini spumanti.
Quest’anno grazie alla GDO e ai canali off – trade e online si è mitigata notevolmente la diminuzione di consumi e degli acquisti diretti in cantina causati dal coprifuoco.
Il negoziato sulla brexit concluso in extremis è un vero regalo di Natale per tutto il settore agroalimentare italiano.
Si potrà continuare ad esportare nelle fredde ed inospitali terre della perfida Albione al di là del mare.
Quello anglosassone è il quarto mercato commerciale per un valore complessivo pari a 3,5 miliardi di euro.
Occorrerà tenere una stretta sorveglianza sul Level Playing Field che significano la parità di condizione sulla concorrenza.
Il Regno Unito non deve discostarsi dalla regolamentazione europea attuando aiuti di stato alle proprie imprese in campo agroalimentare.
E comunque un No Deal cioè senza accordo avrebbe comportato stupide barriere tariffarie come quelle messe in atto dallo spodestato presidente yankee.
E pure una minore domanda interna dal mercato britannico e il deprezzamento già in atto della sterlina penalizzerebbe i prodotti italiani.
In primis il vino che rappresenta il 25 % del totale dell’export agroalimentare italiano Oltremanica con un fatturato che ammonta a quasi un miliardo di euro.
Umberto Faedi
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