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Ci prendiamo un caffè?

Proporre a qualcuno di prendere un caffè assieme implica una confidenza tra i soggetti, non si propone né si accetta un caffè tra sconosciuti.

A meno che non si sia propensi a iniziare un rapporto di qualche tipo, anche solo professionale, per esempio, ed in tale eventualità i casi sono due: chi avanza l’invito ha una proposta d’affari da sottoporre e sceglie il caffè in un territorio neutro magari per non mettere a disagio l’interlocutore imponendo una sede ufficiale, e quindi nel rispetto di un rapporto tra pari, oppure l’invito parte irritualmente e sfacciatamente da chi si trova in un ruolo o condizione inferiore per chiedere un favore o ingraziarsi una qualche sorta di benevolenza da un superiore in grado.

Normalmente, l’invito a prendere un caffè è sentito come il suggello di un’amicizia, un preannuncio di una certa complicità, un’aspettativa di uno scambio di confidenze.
Il massimo della intimità tra le persone è offrire la propria casa per sorbire il caffè, più che in salotto meglio in cucina, ascoltando assieme la caffettiera borbottare ed assaporare l’aroma che si sprigiona nell’ambiente. L’atmosfera conta, eccome.
Poi, via libera a tutte le chiacchiere! Il bello è che si può spaziare dai problemi più personali ed intimi alle tematiche più scabrose dell’attualità politica, condividendo impressioni ed opinioni.
È opportuna una precauzione: non intraprendere mai un commento sulla situazione politica con un amico se non si è sicuri ci sia convergenza di vedute. Per questo il Galateo raccomanda di evitare certi argomenti a tavola.

E poi pazienza se qualcuno – in barba al Galateo – lecca il cucchiaino con cui ha mescolato lo zucchero nella tazzina di caffè, o lo lascia dritto in piedi invece di riporlo sul piattino.

Maura Sacher


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