Curiosità

Parole che contano: l’arzdôura

Viviamo tempi di grande ripensamento della gastronomia, a tutti i livelli. In particolare, si registra un ritorno generalizzato a una cucina più tradizionale, di territorio, di vicinanza e del mercato: una cucina, in altri termini, che rifugge gli eccessi più esasperati per ritornare alle sue radici più autentiche.

Da noi, a Bologna e in Emilia – Romagna, protagoniste indiscusse dell’arte culinaria più verace sono da sempre le sfogline, quelle signore cioè che mostrano tutta la loro maestria nel tirare magistralmente la sfoglia al matterello, per creare quei capolavori che rispondono al nome di tagliatelle, tortellini, lasagne ecc. Su giornali, riviste, blog e quant’altro le sfogline sono spesso indicate col termine accattivante, e storicheggiante, di zdaure, o zdore. sfogline8

Chi usa questa dicitura pensa in buona fede di rendere omaggio alla terminologia dialettale del buon tempo andato, ma in realtà commette un errore. Consultando qualche testo affidabile, però, lo si può facilmente individuare ed eliminare.

Mariano Aureli, nel suo “Nuovo dizionario usuale tascabile del dialetto bolognese” (Bologna, 1851, Tipografia di Antonio Chierici) riporta la voce “Arzdôura”, col significato di “massaia, reggitrice”.

Poco più di un secolo dopo Pietro Mainoldi, nel suo “Vocabolario del dialetto bolognese” (Bologna, Arnaldo Forni Editore, 1967) riporta il lemma “Arʒdåura” intendendo così “reggitrice, massaia.

È il nome tradizionale di chi è a capo della famiglia di contadini”. A parte lievi differenze di trascrizione della pronuncia bolognese, si tratta della stessa parola; ed è la stessa parola che compare anche in dizionari dialettali più recenti, come ad esempio quello di Lepri.

Qual è il succo della faccenda, e perché ci siamo soffermati su queste minuzie? Presto detto: l’Arzdôura / Arʒdåura è, in senso letterale, la “reggitora”, cioè colei che “regge” la casa. Moglie, mamma, cuoca, governante, economa, ecc., tutto nella stessa persona.

Se il termine viene storpiato in zdaura, o zdora, come abitualmente si fa, si perde il senso di importanza, di reggenza, di autorità e autorevolezza, di vero e proprio comando esercitato una volta dalla padrona di casa. Padrona in quanto “reggitora” della casa. Senza poi considerare il fatto che, a rigore, zdaura / zdora non sono la traduzione di “reggitora” (che ha un senso preciso), ma di “gitora” (che non significa niente).

Attenzione, dunque. Se si vuol fare bella figura avventurandosi sul terreno, oggi scivoloso, del dialetto, bisogna cautelarsi contro eventuali cadute ortografiche e semantiche. Quindi: bene “sfoglina”, benissimo “Arzdôura / Arʒdåura”, da evitare come la peste l’insignificante, goffo, ciarlatanesco “zdaura / zdora”.

Piero Valdiserra


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Redazione

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