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Io mangio italiano … se posso

Condivido le soddisfazioni degli operatori dell’agroalimentare e dell’economia nazionale davanti alle cifre del nostro commercio estero, in fondo un po’ tutti avevano elevato altissimi lai solo alla notizia del veto di importazione in Russia di alcune categorie di prodotti esteri, come risposta alle misure minacciate da Bruxelles per la questione ucraina, con la previsione catastrofica della perdita di affari per qualche centinaio di milioni di euro solo per l’Italia.

Sono cinque anni che le varie agenzie preposte a fotografare la situazione del Belpaese puntano a evidenziare un calo progressivo dei consumi ed una tendenza alla “rinuncia”. davanti al banco del supermercatoIl che in linea generale è pur vero, infatti, queste grida entrano direttamente nelle orecchie del consumatore e gli fanno tremare la mano davanti al bancone del supermercato.

Gli Italiani rinunciano alla pasta? A quella delle grandi marche multinazionali sì, forse perché hanno scoperto che per il 40% le farine di grano vengono importate da paesi dell’est e sono altamente ricche di glutine, per dare forza alle nostre ‘povere’ farine a cui vengono mescolate; ma ci sono almeno due rovesci nella medaglia del consumo ridotto: da un lato la dilagante crescita dei seguaci di diete bio, vegetariane e vegane, in tutto ben più di 5 milioni di connazionali (con un giro d’affari del biologico intorno ai 2,6 miliardi di euro), dall’altro perché più di qualche milione è anche sensibile al glutine o è celiaco, oltre ad altre intolleranze.
Gli analisti dei Rapporti annuali riconoscono che la spesa è diventata più selettiva, etichette-alimentari-come-strumento-di-informazione-1-728infatti, più che rinunciare ci si rivolge a qualcosa di alternativo, meno raffinato e nutrizionalmente forse più efficace, d’altronde il consumatore spende volentieri per prodotti che siano garantiti. Così si ricompone l’equilibrio della bilancia dei consumi.

Poi c’è il falso made in Italy da cui guardarsi.
A fronte dell’esportazione dei nostri eccellenti prodotti nazionali, un ampio margine delle materie prime che, trasformate, entrano poi nel circuito della grande distribuzione, proviene dai Paesi UE, e l’olio extravergine d’oliva è l’esempio eclatante. Ogni settimana sentiamo di sequestri, l’ultimo nelle Puglie, con il mix di olio spagnolo e greco venduto come 100% italiano. Il quale tra l’altro potrebbe ritornare in quei Paesi con il nostro tricolore stampato, c’è di che ridere.

A tale proposito, sono estremamente preoccupata che il regolamento comunitario 1169/2011, entrato in vigore anche in Italia con il 13 dicembre 2014, ritenga non necessaria l’indicazione d’origine dei prodotti, ma solo lo stabilimento da cui escono lavorati e/o confezionati.

Bene, se io voglio mangiare sano, prima di tutto voglio mangiare “italiano”, MADE IN ITALYma voglio un “Made in Italy” vero e veritiero, visibile sulle etichette, scritte da produttori onesti, controllato da onesti ispettori, evidenziato sui menù dei ristoranti e sulle tabelle delle rivendite al dettaglio.

Insomma, io ho la facoltà di scegliere e sono in grado di rifiutare ‘altro’ che non sia di mio gradimento. Quando certi produttori capiranno che è meglio accontentare in primis la massa dei consumatori di casa loro, invece di perseguire propri interessi, allora i consumi interni si alzeranno di botto e il sorriso tornerà sulla faccia di 59 milioni di italiani.

Maura Sacher


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